La giostra degli scambi
Il commissario Montalbano dalla sua verandina in riva al mare assiste ad una zuffa e non ci pensa due volte ad intervenire per separare i due litiganti, cercando di aiutare il ragazzo in difficoltà.
Ma agendo d’istinto non ha inquadrato bene la situazione, chi era quello da aiutare, chi era quello da allontanare .
Suo malgrado viene coinvolto nella zuffa e quando arrivano i Carabinieri viene tratto in arresto insieme agli altri, scambiato per un malfattore qualsiasi .
Comincia così la settimana di Montalbano in cui gli scambi di persona saranno protagonisti così come le false convinzioni.
Il negozio di un ricco uomo d’affari viene incendiato e del proprietario si perdono le tracce. La pista mafiosa viene subito scartata, anche se il pizzo era diventato un onere troppo pesante per il commerciante e Montalbano e la sua squadra si concentrano sulle avventure amorose dello scomparso.
Chi è la misteriosa ragazza che gli ha fatto perdere la testa ?
Cosa vuole il sig. Virduzzo che tenta invano di parlare con Montalbano, sia di persona, che per telefono e per corrispondenza ?
Quali sono le bugie raccontate da Bonfiglio e qual è la verità ?
In tutto il racconto si deve distinguere tra realtà e supposizioni infondate e spesso anche un abile poliziotto come Montalbano sceglierà la strada sbagliata.
A quanto pare Camilleri non si è ancora stancato del suo personaggio e riesce sempre a trovare gli stimoli per creare una nuova originale storia senza mai allontanarsi dalla sceneggiatura ormai familiare e rassicurante che conosciamo.
— un paragrafo significativo —
«Chi nni pensa?» spiò Fazio.
«Può darisi che sia a spasso con la picciotta e può darisi di no. Se non è a spasso con la picciotta, questa, in un modo o nell’autro, si farà viva con noi per aviri notizii del sò zito scomparso. Che dissiro i pomperi dell’incendio?».
«Che è chiaramenti doloso».
«Come hanno fatto?».
«Sunno trasuti dal portoni usanno ’na chiavi fàvusa e con ’n’autra chiavi fàvusa hanno rapruto la porticina posteriori del nigozio. Po’, ’na vota dintra, ci hanno svacantato dù taniche di benzina, ci hanno dato foco e si nni sunno ghiuti».
«Hanno agito, a quanto mi pari d’accapiri, circanno di fari la minima rumorata possibili».
«Accussì pare».
«Forsi si erano fatti pirsuasi che Di Carlo si nni stava a dormiri nella sò casa».
«Può essiri».
«Dimmi ’na cosa: la porta di ’st’appartamento, chi la raprì?».
«Io l’attrovai aperta».
«Allura foro i pomperi?».
«Nun lo saccio».
— la presentazione ufficiale —
Non abbagli la luce matta che, sugli schermi delle pagine, proietta comiche a rapidi scatti: una schermaglia rodomontesca con due mosche fastidiose; una rissa con attori che sbaccanano e come palla si involvono e rotolano, con braccia e gambe che si agitano, tra pugni e morsi, e lampi di lama; un commissario con un occhio pesto e un orecchio morsicato, che per “scangio” viene arrestato dai carabinieri; una servente che prende a padellate e fa prigioniero un intruso, che l’ha distolta dalle occupazioni culinarie; un signore ben curato e ben vestito, che più volte va a un appuntamento: a vuoto sempre, e deluso. E c’è anche il remake di una scenetta antica e surreale (dal “Libro mio” di Pontormo passata a “Il contesto” di Sciascia) di chi, con la mente scardinata, sta chiuso in casa, e a chi bussa risponde di non esserci. In così lunatica atmosfera sembra che i dettagli creino digressioni. Ma è negli interstizi che il mistero prospera, insondabile; e lento scivola, dilatatorio, deviando gli aghi di qualsivoglia bussola e decorando di apparenze ingannevoli le sue trame da brivido. Il romanzo è un pantanoso labirinto del malamore, di un tenebroso malessere: geloso oppure ossessivo. Nel dedalo di meandri, giravolte, gomiti d’ombra, nasconde una “camera della morte”: l’ultima, la più segreta, come quella delle mattanze nelle tonnare. A Vigàta i notturni sono di leopardiana bellezza. Non assolvono però il fruscio di invisibili ali di tenebra. Montalbano si è svegliato con una premonizione.
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