Arcobaleno
Eiko sta trascorrendo una vacanza di due settimane a Tahiti, durante la quale deve riflettere sul suo passato, lontano e recente, e prendere una decisione sul suo futuro.
La vita della ragazza è riferibile a due grandi periodi: quando da bambina viveva con la mamma e la nonna ed aiutava alla conduzione del ristorante familiare e quando da grande, trasferita nella capitale Tokyo ha iniziato a lavorare al ristorante Arcobaleno, mettendo a frutto tutta la sua precedente esperienza e la sua tenacia.
L’Arcobaleno è tutto per lei, il suo lavoro ma anche la sua vita, e quando ne viene momentaneamente allontanata il suo unico scopo è farvi ritorno e dimenticare la pausa forzata.
Uscire dall’ambiente dell’Arcobaleno però le farà fare una nuova significativa esperienza e nuove conoscenze.
Lo stile di Banana Yoshimoto è esaltato in questo racconto.
Quando una persona si perde nei suoi pensieri e riflette, tutto intorno a lei si ferma.
Così la Yoshimoto ci racconta i pensieri di Eiko con calma, tranquillità e distacco, anche se sta raccontando di umori estremi e liti e amore.
Il racconto è interessante come sempre quando l’autrice ci fa scoprire la cultura giapponese non spiegandola ma facendola vivere ad un suo personaggio e descrive una storia con tanti piccoli tasselli che solo all’ultimo saranno collegati tutti insieme per dare un senso alle inquietudini della protagonista.
—- un paragrafo significativo —
Morivo dalla voglia di dirlo a qualcuno e mi ritrovai a indicarlo con la mia manina decisamente più piccola della norma.
Che oltretutto sott’acqua sembrava ancora più piccola.
La coppia di anziani che nuotava al mio fianco mi fece un cenno di assenso.
Intuii che anche loro fossero eccitati da quell’incontro.
Erano due francesi simpatici che soggiornavano nel mio stesso albergo e avevamo parlato un po’ sulla barca che ci aveva portati lì.
In quel momento, continuando a osservare lo squalo, ci prendemmo istintivamente tutti e tre per mano.
Che le mani di estranei potessero trasmettere tanta felicità, superando la barriera delle nazionalità, dipendeva dal fatto che erano quelle di due persone anziane.
Due grandi mani piene di rughe che avevano abbracciato un’infinità di volte i loro figli e nipoti.
Dopo esserci assicurati che lo squalo fosse tranquillo e per niente intenzionato ad attaccarci, tirammo fuori la testa dall’acqua e ne parlammo un po’.
Poi ci sorridemmo e ognuno andò per la sua strada a inseguire i pesci che preferiva.
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