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A cantare fu il cane

a cantare fu il cane di Andrea VitaliI romanzi di Andrea Vitali, dietro una parvenza di leggerezza, nascondono meccanismi complessi di narrazione e trame studiate che intersecano una miriade di personaggi che danno vita a piccole ma interessanti storie di paese.

Tra tutti i personaggi questa volta spicca il Maresciallo Maccadò, che come ebbi ad intuire in una passata recensione dei romanzi di Vitali, è diventato un personaggio non più occasionale, ma ricorrente, un trait d’union tra le tante storie di Bellano.

E’ caratteriale, orgoglioso, sagace ed intuitivo il Maresciallo, che questa volta delega all’appuntato Misfatti una missione fuori paese, seguendo in prima persona il tentato furto in casa dell’Emerita, in quel momento sola perché il marito impegnato in Africa per la Patria ed il figlio sul lago per la pesca notturna.

Il tentato furto è diventato subito la notizia principale nelle chiacchiere di paese, prima ancora di arrivare sulla scrivania dei carabinieri, grazie alle aspirazioni giornalistiche del Maestro Crispini, che vede nel fatto di cronaca la possibilità di diventare finalmente un giornalista di cronaca effettivo e non un occasionale scrittore di ‘lettere al direttore’ mai pubblicate.

Ma ci sono molte anomalie in questo episodio, a cominciare dalla mancata tempestiva denuncia, che faranno pensare il Maresciallo Maccadò, che nell’assenza dell’appuntato Misfatti, al vano inseguimento del circo che ha appena lasciato il paese, si pensa con un paesano al seguito che intende abbandonare la famiglia, si avvale della collaborazione pettegola della signora Civignola che dalle sue finestre osserva e intuisce più dell’arma dei carabinieri.

Intanto il Misfatti viene consegnato all’ospedale di Bellano privo di sensi alle cure di Suor Venezia già in contatto con il Maresciallo per la custodia del presunto ladro e di una simpatica smemorata.

Divertente e godibilissimo, consigliato anche come prima lettura di Andrea Vitali per chi ancora non ha scoperto il mondo sulle rive del lago di Como.

L’indovinello del prevosto

Durante tutto il romanzo il Maresciallo Maccadò deve anche trovare la risposta all’indovinello che il parroco di paese ha rivolto ai suoi figli ed agli altri bambini partecipanti alla Messa Grande.

«Davanti a chi anche il Papa è costretto a togliersi il cappello?» E, beninteso, pure un maresciallo.

Il romanzo terminerà senza che sia stata data la risposta corretta.

Io conosco l’indovinello, e questa è la risposta:

Il Papa, ed anche il Maresciallo, deve togliersi il cappello davanti al barbiere, per farsi tagliare i capelli.

— un paragrafo significativo —

In sé e per sé, che il Serafino Caiazzi fosse stato sorpreso a rubare non era poi una gran notizia, stava ragionando pensieroso il maestro Crispini.
Non era nuovo a certe imprese.
E poi, che imprese?
Le elemosine in chiesa, una volta, perdonato dal prevosto.
Una fila di luganeghe un’altra, dalla macelleria Rivagrassi di Varenna, rincorso e beccato in pieno mezzogiorno dallo stesso macellaio che l’aveva preso per il collo, riportato in macelleria, obbligato a rimettere le luganeghe sul banchetto da cui le aveva prese e poi davanti a tutti gli aveva detto che la prossima volta, se aveva fame, avrebbe fatto meglio a dirglielo, che una bistecca o una salsiccia gliel’avrebbe regalata lui, risparmiandogli certe figure di merda.
L’unica volta in cui s’era fatto un po’ di galera, due mesi, era stato quando l’avevano pizzicato a rubare il carbone che arrivava con la ferrovia. Era stato di notte, con la luna piena, e aveva fatto un casino tale da svegliare il magazziniere Sveltoni che era lì di guardia.
Un ladro di polli insomma, roba da quattro righe sul giornale, sempre che gliele concedessero.
C’era l’ambiente però, la cornice del fatto criminoso e misterioso. Qualcosa, anche, che dava un sapore particolare alla faccenda, visto che la casa in cui il ladro si presumeva avesse tentato di rubare era quella di un uomo, il marito dell’Emerita, impegnato in Africa nella realizzazione della strada che avrebbe collegato Addis Abeba all’Asmara. Tutto ciò si coniugava in qualche modo all’aspetto eroico del figlio di costei, il Vinci, promessa nostrana del ciclismo, che era intervenuto a difesa della madre e dell’inviolabilità del suolo domestico.

— la presentazione ufficiale —

La quiete della notte tra il 16 e il 17 luglio 1937 viene turbata a Bellano da un grido di donna. Trattasi di Emerita Diachini in Panicarli, che urla «Al ladro! Al ladro!» perché ha visto un’ombra sospetta muoversi tra i muri di via Manzoni. E in effetti un balordo viene poi rocambolescamente acciuffato dalla guardia notturna Romeo Giudici. È Serafino Caiazzi, noto alle cronache del paese per altri piccoli reati finiti in niente soprattutto per le sue incapacità criminali. Chiaro che il ladro è lui, chi altri? Ma al maresciallo Maccadò servono prove, mica bastano le voci di contrada e la fama scalcinata del presunto reo. Ergo, scattano le indagini. Prima cosa, interrogare l’Emerita. Già, una parola, perché la donna spesso non risponde al suono del campanello di casa, mentre invece è molto attivo il suo cane, un bastardino ringhioso e aggressivo che si attacca ai polpacci di qualunque estraneo. E il Maccadò, dei cani, ha una fifa barbina.
A cantare fu il cane ci offre una delle storie più riuscite di Andrea Vitali. I misteri e le tresche di paese, gli affanni dei carabinieri e le voci che si diffondono incontrollate e senza posa, come le onde del lago, inebriate e golose di ogni curiosità, come quella della principessa eritrea Omosupe, illusionista ed escapologa, principale attrazione del circo Astra per le sue performance, ma soprattutto per il suo ombelico scandalosamente messo in mostra. E per la quale, così si dice, ha perso la testa un giovanotto scomparso da casa.

a cantare fu il cane di Andrea Vitali
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A cantare fu il cane ultima modifica: 2017-07-11T19:16:25+00:00 da admin-Salvatore
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